Una speranza fragile: meditazioni sull’accordo in Gaza

Oggi, 13 ottobre 2025, vediamo all’orizzonte un assaggio di tregua in mezzo a una terra ferita. Un accordo di pace (o almeno un primo passo verso una cessazione delle ostilità) è stato sottoscritto tra Israele e Hamas, con il sostegno diplomatico degli Stati Uniti, dell’Egitto, del Qatar e della Turchia. Come cristiani, non possiamo accontentarci del “ceasefire” come se fosse l’ultima parola, né possiamo ignorare le ferite che restano aperte.

Lo scenario: cosa dice l’accordo

Ecco alcuni elementi chiave che emergono dalle fonti più affidabili (in particolare Reuters):

• Il cessate il fuoco è entrato in vigore il 12 ottobre 2025 alle 19:14 UTC.

• L’accordo prevede il ritiro graduale delle forze israeliane verso linee prestabilite, e l’apertura del corridoio umanitario per permettere l’afflusso di aiuti (cibo, medicinali) verso Gaza.

• Parte dell’intesa include lo scambio di prigionieri: Israele libererà circa 250 detenuti palestinesi (inclusi alcuni condannati all’ergastolo) insieme a 1.700 altri detenuti, mentre Hamas libererà i 20 ostaggi israeliani ancora in vita (entro 72 ore dal ritiro).

• È previsto anche il ritorno delle salme degli ostaggi deceduti nelle stesse 72 ore, sempre secondo le condizioni del trattato

• Il pieno successo dell’accordo però è condizionato: Hamas dovrà ritirare il suo potere “di fatto” su Gaza, e un governo tecnico o supervisione internazionale dovranno assumere ruoli di amministrazione, con la prospettiva che l’Autorità Palestinese riprenda un ruolo nel territorio.

• Alcuni punti rimangono nebulosi o controversi, tra cui la questione del disarmo di Hamas, la composizione e l’effettiva autorità del body di transizione, nonché la garanzia che l’accordo non sia un semplice “armistizio temporaneo” privo di sanzioni efficaci in caso di violazioni

• Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha accolto positivamente l’intesa come un potenziale passo verso la realizzazione di uno Stato palestinese, invitando le parti a non perdere la finestra diplomaticamente creata.

Molti accordi simili, in questa regione, sono naufragati perché le disposizioni di sicurezza non sono state rispettate. Se una parte violerà il cessate il fuoco, o se nuove tensioni scoppiassero, potremmo ritrovarci ben presto di nuovo in guerra.

Anche con un governo tecnico o una supervisione internazionale, se Hamas mantiene armi e influenza nell’ombra, la pax diventerà precaria. Un apparato militare non smantellato può sempre riattivarsi.

Dopo anni di morte, distruzione e sofferenza, le popolazioni sia israeliane che palestinesi hanno perso fiducia nel “processo di pace”. Le promesse non mantenute del passato pesano come pietre.

Non possiamo ignorare le sofferenze subite da entrambi i lati: famiglie che hanno perso figli, case distrutte, traumi indelibili. La pace che non riconosce il dolore è una pace instabile. La vera pace non è assenza di conflitto, ma presenza di giustizia.

Alcuni leader cercheranno di sfruttare l’accordo per proclami trionfalistici. Noi, come cristiani, dobbiamo vigilare affinché non facciano del “ceasefire” un trofeo, dimenticando i poveri, i feriti, i profughi.

Se qualcosa possiamo offrire come comunità cristiana, e come singoli credenti, è questo:

Pregare con cuore sincero: “Signore, fa che questo accordo non sia solo un pugnale che s’insinua nella tregua, ma un ponte che conduce alla riconciliazione.”

Essere operatori di pace nei nostri piccoli contesti: promuovere il dialogo, non l’odio; educare alla misericordia; ricordare che ogni essere umano, palestinese o israeliano, è creato a immagine di Dio.

Sostenere il lavoro umanitario: non con spettacoli mediatici, ma con servizio umile: cibo, cure, ricostruzione. Le stupende immagini delle firme contano molto meno rispetto al mattone che rialza una casa, al volto che torna a sorridere.

Essere vigilanti e far risplendere la verità: se ingiustizie emergeranno, non dobbiamo tacere. Il cristiano vero non è banderuola del potere, ma voce della coscienza che richiama alla giustizia, al perdono e alla verità.

Oggi possiamo guardare al cielo con un filo di speranza: un accordo è stato firmato, le armi dovrebbero tacere per un momento, ostaggi hanno una chance di tornare a casa. Ma questa speranza non è ingenua. È temperata. È vigilante. È pregna di consapevolezza che nulla di buono resta stabile senza radici profonde nella giustizia di Dio.

Come disse Billy Graham (o potremmo dirlo con le sue parole): “La pace non è un punto di arrivo, ma un cammino che noi percorriamo, passo dopo passo, con cuore contrito, mente sveglia e mani tese.”

Che la nostra preghiera oggi non sia meramente “Pace, pace”, ma: “Signore, rendi questa pace vera, dura, liberatrice.”

Sappiamo che senza il principe della Pace Gesu’ Cristo ogni tentativo umano cadra’ nel vuoto, ma vogliamo crederci , confidando nel nostro Signore Gesu’ Cristo , il Principe della Pace e confidando in Lui ringraziamo Dio che ha voluto intervenire per concedere una tregua, speriamo duratura . Ricordiamo invero quanto afferma l’Apostolo Paolo : E quando si dirà «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma noi oggi in preghiera ringraziamo il nostro Dio abbandonandoci nelle mani potenti della Sua Divina Sapienza e volontà. Dio benedica Israele , la Palestina ed il mondo intero .

Francesco Pastone